Chi è la vittima e chi il carnefice, alla fine dei giochi, in questa singolare versione dei fatti messa in scena da Angela Summereder? Al di là di come siano andate realmente le cose, nessuno è realmente senza macchia nel presente Zechmeister. E, in fin dei conti, il dito viene puntato soprattutto contro una società ipocrita e perbenista, pronta ad accusare chiunque gli capiti a tiro, pur di vedere da lontano quali conseguenze nasceranno da determinate azioni.
Con l’insolita forma di un road movie, Please hold the Line ci accompagna lungo un viaggio che va dalla Moldavia alla Romania, senza dimenticare anche l’Ucraina e la Bulgaria. Tema centrale del discorso: le telecomunicazioni e quanto le stesse, oggi come oggi, ci hanno condizionato e hanno cambiato il nostro modo di vivere.
I tormenti interiori e i problemi del giovane Hermann vengono messi in scena in Clinch con un approccio registico in cui è la semplice osservazione del quotidiano a fare da perfetta coprotagonista, riuscito contrappunto alle burrascose vicende del protagonista stesso. Il tutto con una buona dose di saggezza nel contemplare la vita e il suo scorrere placida, seguendo il naturale corso degli eventi.
In occasione della Viennale 2020, i registi Tizza Covi e Rainer Frimmel hanno presentato al pubblico il loro ultimo lavoro, Notes from the Underworld (titolo originale: Aufzeichnungen aus der Unterwelt), già selezionato alla Berlinale 2020, all’interno della sezione Panorama. Cinema Austriaco ha avuto modo di incontrarli e di farsi raccontare qualcosa di più su questo loro nuovo progetto e, più in generale, sulla loro carriera e sul loro modo di rapportarsi alla settima arte. Intervista a cura di Marina Pavido.
Jesus von Ottakring, brillante opera prima di WIlhelm Pellert, punta il dito contro una società ipocrita e perbenista, che tende pericolosamente a emarginare chi considerato “diverso”, che a tutti i costi cerca un capro espiatorio per attribuirgli tutte le colpe del mondo, ma che, al contempo, ha un disperato bisogno di una guida, di qualcuno da idolatrare.
Sono suoni costanti e martellanti, soprattutto per quanto riguarda la prima parte del lungometraggio, a fare da protagonisti assoluti in Magic Glass, opera prima di Mansur Madavi, che per certi elementi ci ricorda addirittura Essi vivono di John Carpenter, così come Play Time di Jacques Tati. E nel momento in cui il protagonista sembra finalmente uscire da quel circolo vizioso che è la società sterile e capitalista, ecco che lo stesso sembra agli occhi di tutti folle, potenzialmente pericoloso per sé stesso e per gli altri.
Caratterizzato da un montaggio frenetico e incalzante, unitamente a un commento musicale atto ad aumentare un costante stato di tensione nello spettatore, il presente Wood vede la cooperazione di ben tre cineaste – Ebba Sinziger, Michaela Kirst e Monica Lazurean-Gorgan – per tre punti di vista che convergono verso un’unica conclusione, ponendosi come obiettivo principale proprio quello di far sì che il mondo intero si renda conto della pericolosità di determinate realtà.
Da sempre cantore di un mondo sconosciuto ai più, del mondo degli emarginati, di chi viene emarginato dalla società, in quanto considerato “diverso”, “perverso”, “malato”, il giovane documentarista tedesco Jan Soldat, in questo suo Resident Ground Floor ci conduce per mano nella quotidianità di Heiko – lasciando che lo stesso si confidi e si mostri così com’è – dimostrandosi distaccato quanto basta, ma anche incredibilmente vicino al suo personaggio.
Un cinema, questo di Herbert Holba, così come di molti altri suoi colleghi e amici, che vede in questo The first Day l’inizio di una nuova corrente cinematografica austriaca, in cui si tentava di discostarsi dai canoni produttivi nazionali cercando nuovi tipi di messa in scena, nuovi modi di intendere la settima arte, nuovi modi di sperimentare. E questo, dunque, è anche il caso del presente The first Day, ambientato in una terra di nessuno tra ieri e domani e che da ieri attinge a piene mani per raccontare un insolito, possibile domani.
Zaho Zay colpisce immediatamente per il suo approccio fortemente contemplativo. Un approccio che fa di lunghi silenzi e di immagini in cui sono i luoghi stessi, insieme a oggetti, a essere trattati alla stregua di veri e propri personaggi, il proprio punto di forza. Un approccio privo di ogni qualsivoglia commento musicale, fatta eccezione per alcuni canti rigorosamente diegetici.