Un film, Die gelbe Nachtigall, che sta a rappresentare un punto di svolta all’interno della carriera di Franz Antel. Se, infatti, da un lato, il regista, con questa pellicola, per la prima volta si confrontava direttamente con un nuovo mezzo di comunicazione, la televisione, dall’altro ecco che appare lampante, qui, una sorta di ritorno al passato. Una sorta di ritorno ai gloriosi Wiener Film che tanta importanza hanno avuto agli inizi e per gran parte della sua carriera.
Jesus von Ottakring, brillante opera prima di WIlhelm Pellert, punta il dito contro una società ipocrita e perbenista, che tende pericolosamente a emarginare chi considerato “diverso”, che a tutti i costi cerca un capro espiatorio per attribuirgli tutte le colpe del mondo, ma che, al contempo, ha un disperato bisogno di una guida, di qualcuno da idolatrare.
Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1934, Mascherata ottenne il Premio alla Miglior Sceneggiatura. Pur attenendosi ai canoni dei Wiener Film, con una storia ambientata nel mondo dell’alta borghesia, i fasti, gli sfarzosi costumi e le sue musiche, sia Willi Forst che lo sceneggiatore Walter Reisch hanno voluto dare al tutto un taglio diverso al tutto, puntando il dito contro una società ipocrita e decadente di schnitzleriana memoria.
Follie nel Mondo, di fianco a una sceneggiatura piuttosto semplice e lineare, vede una messa in scena sì di impostazione prevalentemente teatrale, ma anche estremamente spettacolare, colorata e vivace, all’interno della quale eleganti figure si muovono davanti alla macchina da presa, per una serie di curate coreografie che riescono a creare un’equilibrata commistione di danza moderna e valzer viennese.
Non solo I Wretched Man, si rivela un’opera fortemente sperimentale e pregna di significato nel rappresentare i tormenti dell’uomo e il suo costante e lacerante senso di colpa. Questo interessante lavoro di Bastian Wilpling colpisce soprattutto per la sua raffinatissima cifra stilistica, perfettamente in grado di creare una riuscita commistione tra cinema, musica, pittura e, non per ultimo, teatro.
La macchina da presa di Sophia Hörmann si rivela, in Endstation Seestadt, particolarmente abile nel rappresentare i corpi degli attori, in continue danze dove, in un intrecciarsi di corpi, braccia e gambe, non si distingue più un singolo individuo e dove tutto, fin da subito, assume un significato simbolico e spirituale.
In Elektro Moskva I due cineasti, perfettamente in linea con ciò che hanno deciso di mettere in scena, hanno optato per un approccio registico fuori dagli schemi, dove a fare da protagonisti assoluti sono – come ben si può immaginare – suoni e colori, passato e presente che si alternano con ritmi frenetici, senza lasciare il tempo allo spettatore di riprendere fiato tra una scena e l’altra.
Bloom si presenta immediatamente come un prodotto ibrido. Ciò è dovuto, soprattutto, al fatto che, inizialmente, tale progetto era stato concepito come videoclip musicale, ma che, date le affascinanti storie dei protagonisti qui rappresentati, nel corso della sua realizzazione ha pian piano assunto anche la forma del documentario.
In La piccola grande Voce – lungometraggio per la televisione diretto da Wolfgang Murnberger nel 2015 – i buoni sentimenti, alla fine – e come si può ben immaginare – trionfano sempre. E lo fanno, spesso e volentieri, in modo quasi forzato, con snodi narrativi eccessivamente repentini. Talmente repentini da perdere quasi del tutto di credibilità.
Ernst Marischka in questo suo interessante La Casa delle tre Ragazze ci appare straordinariamente in forma, per un lungometraggio in grado di coniugare umorismo e drammaticità, prosa e poesia, danze e musica, senza apparire mai forzato o banale e senza mai scadere nel già visto.