Questo brillante Kaviar – opera seconda di Elena Tikhonova – vede ritmi ben scanditi sia da una regia esperta e consapevole – con tanto di brevi inserti d’animazione e una titolazione di tarantiniana memoria – che da un azzeccato commento musicale, frizzante e di carattere, ma mai sopra le righe.
Non c’è, apparentemente, alcuna via di salvezza, per i protagonisti di Revanche di Götz Spielmann (così come di qualsiasi altra opera dell’autore austriaco). Tale implicito pessimismo cosmico – pregno, a suo modo, anche di una velata religiosità – assume sin dall’inizio una connotazione universale riguardante ogni periodo storico.
Die Wunderübung è sì una commedia leggera e gradevole, ma che, man mano che ci si avvicina al finale, a causa di essenziali risvolti narrativi che finiscono inevitabilmente per rivelarsi troppo deboli, finisce progressivamente per sgonfiarsi come un palloncino.
Con un curato bianco e nero che tanto sta a ricordare la fotografia di Il Fabbricante di Gattini (opera prima di Fassbinder, del 1969), L’Oceano silenzioso – opera prima di Xaver Schwarzenberger, storico aiuto dello stesso Fassbinder – è un prodotto che, a suo modo, è riuscito a diventare quasi una pietra miliare all’interno della cinematografia austriaca e tedesca degli anni Ottanta.
Un documentario, Inland, che gioca sull’ambivalenza, sul conflitto interiore, sulla contrapposizione di diverse realtà all’interno di una capitale europea che, sin da tempi immemori, proprio per la sua particolare posizione geografica, è sempre stata crocevia di numerose culture.
Se pensiamo che Anja Salomonowitz ha realizzato It happened just before già dodici anni fa, ci rendiamo tristemente conto di quanto esso sia stato intelligentemente profetico e di quanto sia, ancora oggi, incredibilmente attuale.
La visione di un lungometraggio come Exit…but no Panic, primo lavoro per il cinema di Franz Novotny, può essere paragonata a un giro sulle montagne russe. Irriverente, scioccante, spiazzante, divertente e divertito, il presente prodotto è diventato un vero e proprio cult all’interno della cinematografia austriaca.
Primo capitolo della Heimatfilm-Trilogie (comprendente anche Abschied, del 2014, e Heimatfilm, del 2016), My Father’s House, dedicato ai genitori del regista, appena scomparsi, mette in scena – analogamente alle altre opere dell’autore – un importante cambiamento interiore e può classificarsi di diritto, come il suo lavoro più intimo e personale.
La scoperta della propria omosessualità e, parallelamente, la progressiva conoscenza del proprio corpo, sono grandi protagoniste di Nevrland, in cui Gregor Schmidinger ha optato per una messa in scena del tutto anticonvenzionale e a tratti fortemente sperimentale.
Al di là di ogni qualsivoglia spinosa questione di carattere puramente storico e produttivo, non si può non riconoscere la bellezza stessa di un’opera come Suburban Cabaret di Werner Hochbaum, preziosa testimonianza di un’epoca chiave, per il cinema e non solo.