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Tra i nomi maggiormente degni di nota nel cinema di Weimar, Henrik Galeen – a cui la Viennale 2021 ha dedicato una speciale retrospettiva – si è distinto agli inizi del secolo scorso soprattutto per il carattere cupo e inquietante che era solito conferire, ora in qualità di sceneggiatore, ora in qualità di regista o attore, alle sue opere.
In un’aura di mistero
“Nosferatu”. “Non morto”. Il nome che lo sceneggiatore e regista Henrik Galeen scelse per l’adattamento cinematografico di Dracula di Bram Stoker, al fine di non aver problemi di diritti. Il nome di Nosferatu, dunque, è ormai entrato a far parte dell’immaginario collettivo, così come l’iconica figura dell’attore Max Schreck nel ruolo dell’inquietante protagonista. E se, dunque, il capolavoro espressionista Nosferatu il Vampiro – diretto da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922 – è diventato una pietra miliare nella storia del cinema, è anche merito proprio di Henrik Galeen, che per il film ha scritto la sceneggiatura. Tra i nomi maggiormente degni di nota nel cinema di Weimar, Galeen – a cui la Viennale 2021 ha dedicato una speciale retrospettiva – si è distinto agli inizi del secolo scorso soprattutto per il carattere cupo e inquietante che era solito conferire, ora in qualità di sceneggiatore, ora in qualità di regista o attore, alle sue opere. E, proprio come molti dei personaggi da lui creati, anche la sua vita è in qualche modo avvolta in un’aura di mistero.
Nato il 7 gennaio 1881 a Leopoli, città dell’Ucraina che all’epoca faceva parte dell’Impero austro-ungarico, Heinrich Weisenberg discendeva da una famiglia di origini ebraiche. Dopo un breve periodo in cui lavorò come giornalista, Galeen si trasferì a Berlino e iniziò a lavorare giovanissimo come assistente per il regista austriaco Max Reinhardt presso il Deutsches Theater di Berlino, per poi lavorare, sempre a Berlino, come regista presso il Volksbühne. Il mondo del cinema, che all’epoca si stava trasformando in un’industria sempre più potente, non tardò ad affascinarlo e il suo debutto nell’ambito della settima arte avvenne finalmente pochi anni dopo, nel 1915, quando sceneggiò e diresse insieme a Paul Wegener il capolavoro Der Golem.
Già da questo suo primo lungometraggio si potevano notare alcune costanti della sua filmografia, soprattutto per quanto riguarda atmosfere lugubri e macabre (spesso mitigate proprio da Wegener), perfettamente in linea con la nascente corrente espressionista. Da quel momento in avanti, la carriera di Henrik Galeen registrò una serie di successi e altrettanti lungometraggi entrati a far parte della storia del cinema mondiale. Dopo una rielaborazione del suo primo lungometraggio, infatti, nel 1920 venne realizzato Il Golem – Come venne al Mondo, diretto sempre da Paul Wegener insieme a Carl Boese. Tale soggetto lo avrebbe tenuto impegnato a più riprese durante la sua vita e a queste due sarebbe dovuta seguire anche una terza versione in chiave antifascista a cui Galeen iniziò a lavorare nel 1943 insieme a Paul Falkenberg, ma che non portò mai a termine.
Tra le maggiori pellicole del cinema espressionista a cui Galeen prese parte ricordiamo, oltre al già citato Nosferatu il Vampiro, Tre Amori fantastici (Paul Leni, 1924), La Mandragola (1928), di cui curò anche la regia e interpretato da Brigitte Helm e dallo stesso Paul Wegener e, soprattutto, Lo Studente di Praga, da lui scritto e diretto, magistralmente interpretato da Conrad Veidt, nonché remake dell’omonimo lungometraggio diretto da Stellan Rye nel 1913.
Eppure, se queste sono le opere più famose realizzate da Galeen, nel corso della sua carriera l’autore ebbe modo di cimentarsi, in realtà, con tutti i generi del cinema di Weimar. Particolarmente degni di nota, a tal proposito, sono la commedia Das Fräulein vom Amt (Hanns Schwarz, 1925), il melodramma Il Paese dello Scandalo (Wilhelm Thiele, 1928) e Salon Dora Green (1933), l’unico film sonoro da lui realizzato, di cui curò anche la regia.
Gli ultimi anni della carriera di Henrik Galeen furono piuttosto movimentati. Dopo essersi trasferito dal 1928 al 1931in Gran Bretagna (dove lavorò principalmente come supervisore e dove nel 1929 realizzò un unico film da regista, After the Verdict, adattato dalla moglie di Alfred Hitchcock, Alma Reville, dall’omonimo romanzo di Robert Hichens), Galeen tornò per un breve periodo in Germania, ma nel 1933, a causa delle sue origini ebraiche, fu costretto a emigrare dapprima nuovamente in Gran Bretagna, poi negli Stati Uniti. La sua carriera, purtroppo, fatta eccezione per pochi progetti rimasti incompiuti, era ormai finita.
Nonostante i pochi anni di attività, Henrik Galeen ha contribuito in modo significativo allo sviluppo del cinema di Weimar ed espressionista e molti dei film da lui sceneggiati sono considerati ormai dei veri e propri cult. L’autore viene oggi principalmente apprezzato per i toni fantastici, lugubri e decisamente inquietanti, diventati dei veri e propri marchi di fabbrica per le sue sceneggiature, mentre per quanto riguarda il suo approccio registico, non ha avuto modo di sperimentare nulla di particolarmente nuovo, pur avendo diretto lungometraggi più che dignitosi. Eppure, il suo nome fa ormai parte di diritto dei grandi autori del cinema del passato e la sua particolare storia, spesso avvolta nel mistero, proprio come capitava ai protagonisti dei suoi film (basti pensare che circa cinquant’anni fa si pensava fosse ancora vivo e ormai ultranovantenne, quando, in realtà, era morto già il 30 luglio 1949 a Randolph, in Vermont), contribuisce a rendere la sua figura ancora più intrigante e affascinante. Un “creatore di mistero” che del mistero ha fatto a tutti gli effetti il centro della sua vita.