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Se non v’è una data esatta a sancire l’inizio della corrente del Nuovo Cinema Austriaco, è anche vero che, di fatto, tale movimento può facilmente essere letto, più in generale, come un nuovo modo di intendere la produzione cinematografica stessa. Il tutto per una serie di prodotti cinematografici dalla più marcata autorialità, in cui vengono affrontati anche temi considerati complessivamente “scomodi”.
Un nuovo modo di fare cinema
Rainer Werner Fassbinder, Werner Herzog, Wim Wenders, Alexander Kluge. Questi sono soltanto alcuni dei grandi nomi che hanno dato vita, dagli anni Settanta, alla corrente cinematografica del Nuovo Cinema Tedesco. Ma se, di fatto, tale corrente è assai nota a spettatori, studiosi e appassionati di tutto il mondo, ha dovuto faticare molto di più la (quasi) contemporanea corrente del Nuovo Cinema Austriaco, al fine di raggiungere una meritata risonanza anche a livello internazionale. Ma, di fatto, quando nasce e in cosa consiste il Nuovo Cinema Austriaco?
Per comprendere appieno la genesi di tale movimento cinematografico, bisogna fare un salto (non troppo) indietro nel tempo. Ci troviamo, dunque, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Da almeno un paio di decenni i Wiener Film – commedie in costume a carattere prevalentemente musicale e sentimentale atte a trasmettere l’immagine di un’Austria ridente e felice – imperano sulla scena cinematografica austriaca. Eppure, dall’altro canto, c’è chi, stanco di un cinema considerato perlopiù sterile, falsato, impeccabile nella sua confezione, ma che tende costantemente a ripetersi ormai da decenni, ha voglia finalmente di “dire la propria”, di tentare nuove strade e nuovi linguaggi, di raccontare un’Austria sconosciuta ai più, in tutti i suoi aspetti più torbidi, più oscuri.
E se, dunque, dai primi anni Cinquanta, vediamo comparire sul panorama cinematografico austriaco i primi film d’avanguardia (le opere dell’Azionismo viennese ne sono, di fatto, soltanto un esempio), ecco che pochi, selezionati autori iniziano ad attingere a piene mani da quanto realizzato al di là dei confini nazionali – e, nello specifico, proprio dal Neorealismo italiano – al fine di mettere in scena storie di persone che vivono ai margini della società e che sentono ancora forti le conseguenze del recente conflitto bellico. Così, dunque, hanno visto la luce lungometraggi come Asphalt di Harald Röbbeling (1951) o Viennese Girls (Kurt Steinwendner, 1952), giusto per fare alcuni esempi.
Eppure, da lì a qualche anno, tale particolare tendenza avrebbe via via assunto tratti distintivi ben marcati, al punto da soppiantare quasi del tutto la produzione dei suddetti Wiener Film. E ciò accadde, orientativamente, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, quando un nutrito numero di cineasti sembrò prendere una ben specifica direzione, per una serie di lungometraggi dalla più marcata autorialità, in cui venivano affrontati anche temi considerati complessivamente “scomodi”.
Anche se, dunque, non v’è una data precisa a sancire l’inizio ufficiale della corrente del Nuovo Cinema Austriaco, sono in molti a indicare il 1968 come l’anno in cui è uscito in sala il primo film che può essere ascritto a questo movimento. Stiamo parlando, infatti, di Moos auf den Steinen di Georg Lhotsky. Con il presente lungometraggio si è ulteriormente sviluppato un discorso già sommariamente trattato negli anni precedenti e, sebbene gli autori contemporanei a Lhotsky e orientati sullo stesso modo di fare cinema non si siano ufficialmente riuniti al fine di dar vita a questo nuovo movimento, pian piano si iniziò sempre più spesso a parlare di povertà, di disagio giovanile, della dura vita di periferia e, non per ultimo, di quello scomodo fascismo latente che sembrava sempre vivo e pulsante all’interno della società austriaca.
Ora, dunque, toccava a nomi del calibro di Franz Novotny (Die Staatsoperette, Exit…nur keine Panik, Die Augesperrten), di Antonis Lepenotis (Das Manifest, Unternehmen V2), di VALIE EXPORT (Die Praxis der Liebe, Human Females, Invisible Adversaries), di Axel Corti (Welcome in Vienna), di Xaver Schwarzenberger (L’Oceano silenzioso, Donauwalzer), di Peter Patzak (Kassbach) e di Niki List (Müllers Büro) prendere finalmente la parola.
Tutti questi autori – insieme a molti altri – fanno parte, dunque, della prima generazione del Nuovo Cinema Austriaco. E sebbene le loro opere siano state realizzate con costi relativamente più bassi rispetto a quanto veniva fatto nei decenni precedenti, fu possibile dar vita a un così sostanzioso numero di lungometraggi grazie soprattutto a una nuova legge (ufficialmente formalizzata nel 1980) atta a promuovere la produzione di film austriaci mediante finanziamenti speciali. Allo stesso modo, nuove associazioni di registi e tecnici del settore iniziarono a battersi per la promozione del cinema austriaco in vista di un riconoscimento anche al di fuori dei confini nazionali. Questo, dunque, era il compito di istituzioni come la rosa-grün-blau, il Kuratorium Neuer Österreichischer Film – che nel 1970 ha organizzato, nell’ambito della Viennale, un programma speciale dedicato al cinema di produzione nazionale – e l’Österreichisches Filmbüro.
Se, dunque, dalla fine degli anni Quaranta, ormai non venivano più presentati film austriaci nell’ambito di festival cinematografici internazionali, ecco che pian piano anche la presente cinematografia iniziò a riproporsi in una versione più svecchiata, più graffiante e attuale. Al punto da ottenere anche importanti riconoscimenti, oltre a far sì che numerosi cineasti raggiungessero finalmente la fama non soltanto in patria, ma anche in tutto il mondo.
Questo, dunque, è il caso della stessa VALIE EXPORT, ma anche di Michael Haneke, di Michael Glawogger, di Nikolaus Geyrhalter, così come dei fondatori della fortunata casa di produzione Coop99 Filmproduktion: Jessica Hausner, Barbara Albert, Antonin Svoboda e il direttore della fotografia Martin Gschlacht.
Se, dunque, non v’è una data esatta a sancire l’inizio della corrente del Nuovo Cinema Austriaco, è anche vero che, di fatto, tale movimento – che può facilmente essere letto, più in generale, come un nuovo modo di intendere la produzione cinematografica stessa – non è mai realmente finito. Al contrario, si è gradualmente modificato, pur mantenendo, in parte, le sue caratteristiche originarie. Basti pensare, ad esempio, a cineasti che continuano ancora oggi a trattare determinate tematiche (primi fra tutti: lo stesso Michael Haneke e il controverso Ulrich Seidl), così come ai più recenti film di puro intrattenimento (vedi Muttertag di Harald Sicheritz o Indien di Paul Harather, giusto per fare qualche esempio) o ai numerosi documentari che ogni anno occupano una sostanziosa porzione della produzione cinematografica nazionale.
Il tutto per un cinema in continua evoluzione. Un cinema che ha tanto e tanto da dire e che non ha paura di farlo con ogni mezzo a sua disposizione. E il Nuovo Cinema Austriaco, da ormai diversi decenni, si fa via via sempre più ricco e variegato, sempre più agguerrito. Ora leggero, ora estremamente serio, ma, comunque, particolarmente graffiante e sincero. Al punto da essere considerato, di quando in quando, anche piuttosto “scomodo”. Ma non è proprio questo, forse, uno dei compiti principali della settima arte?