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Ora imperatore, ora spietato assassino sullo schermo, generoso benefattore nella vita reale. Nel corso della sua lunga e prolifica carriera, Karlheinz Böhm non ha prestato il volto soltanto a Francesco Giuseppe I d’Austria. Al contrario, dopo il successo della trilogia di Marischka, l’attore ha per tutta la vita cercato di distanziarsi da quei film che lo avevano reso celebre in tutto il mondo, spesso adottando anche registri decisamente antitetici a quelli a cui inizialmente era solito rapportarsi.
Il teatro, il cinema, la sua Africa
In molti ricorderanno il volto sorridente e rassicurante di un Francesco Giuseppe I innamoratissimo della sua Sissi nella celebre trilogia diretta da Ernst Marischka negli anni Cinquanta, dedicata all’imperatrice d’Austria. E, sebbene, in questa occasione, entrambe le figure di Francesco Giuseppe e della stessa Elisabetta d’Austria siano state parecchio romanzate, l’attore Karlheinz Böhm, insieme, ovviamente, alla grande Romy Schneider, è riuscito a entrare nel cuore degli spettatori fin dai primi momenti in cui è apparso sullo schermo.
Eppure, nel corso della sua lunga e prolifica carriera, Karlheinz Böhm non ha prestato il volto soltanto al celebre imperatore. Al contrario, dopo il successo della trilogia di Marischka, l’attore ha per tutta la vita cercato di distanziarsi da quei film che lo avevano reso celebre in tutto il mondo, spesso adottando anche registri decisamente antitetici a quelli a cui inizialmente era solito rapportarsi.
E, sebbene determinate scelte non sempre abbiano riscontrato i consensi di pubblico e critica, il tempo ha dato ragione a questo poliedrico attore austriaco e alcuni dei lungometraggi da lui interpretati sono considerati, al giorno d’oggi, dei veri e propri cult.
Ma questo non è tutto. Se, infatti, nel corso degli anni, abbiamo imparato ad apprezzare le sue qualità attoriali, in pochi sapranno che, da sempre attivo nel campo umanitario, nel 1981 Karlheinz Böhm ha fondato l’associazione benefica “Menschen für Menschen”, operativa principalmente in Etiopia, dove Böhm stesso ottenne la cittadinanza onoraria nel 2003.
Una vita, la sua, dunque, ricca di avvenimenti e di risvolti inaspettati. Una vita che ebbe inizio a Darmstadt – in Germania – il 16 marzo 1928. Karlheinz era, di fatto, figlio d’arte. Suo padre, Karl, era un direttore d’orchestra di Graz, mentre sua madre, Thea Linhard, era una cantante lirica. Dapprima cresciuto in Germania, Böhm si trasferì ben presto con la sua famiglia a Graz, la città natale di suo padre e, inizialmente, fu spinto da quest’ultimo a studiare anglistica e germanistica. Questa scelta, tuttavia, non assecondava la sua vocazione e il giovane Karlheinz ben presto abbandonò gli studi.
Il suo sogno era quello di diventare pianista, ma, a quanto pare, non aveva talento a sufficienza per percorrere questa strada. Eppure, il mondo dell’arte – probabilmente grazie anche all’influenza dei suoi genitori – lo aveva da sempre affascinato. E così, trasferitosi a Vienna, iniziò a prendere lezioni di recitazione presso il Burgtheater dagli attori Albin Skoda e Helmuth Knauss, mentre, in contemporanea, iniziò a lavorare come assistente alla regia con il regista cinematografico Karl Hartl.
E fu proprio con Karl Hartl che debuttò per la prima volta al cinema. Del 1948 è, infatti, l’ottimo La Casa dell’Angelo, tratto dal romanzo La Melodia di Vienna di Ernst Lothar. Ma se nel presente lungometraggio Karlheinz Böhm ricoprì un ruolo decisamente marginale (che, tra l’altro, nemmeno esisteva nel romanzo originale), era in teatro che, inizialmente, ottenne i maggiori consensi e la gente iniziò ad accorgersi di lui. Dopo, infatti, i primi successi proprio presso il Burgtheater (con un debutto nel 1948 con la pièce Ein Herr von vierzig Jahren), dal 1949 al 1953 Böhm entrò a far parte della compagnia stabile del Theater in der Josefstadt di Vienna, per poi continuare a recitare anche a Monaco, a Zurigo, a Berlino e a Francoforte.
Poi, finalmente, arrivò la metà degli anni Cinquanta. E proprio nel 1955 Ernst Marischka lo scritturò per quel film che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo: La Principessa Sissi. La figura di un imperatore giovane, innamorato, di larghe vedute e ben diverso da come si era soliti immaginarlo, conquistò definitivamente il cuore degli spettatori. E al fortunato lungometraggio si aggiunsero anche Sissi – La giovane Imperatrice (1956) e Sissi – Destino di un’Imperatrice (1957), tutti per la regia dello stesso Marischka.
A dire il vero, a questi tre film se ne sarebbe dovuto aggiungere anche un quarto, ma fu proprio Romy Schneider – desiderosa di non essere più identificata con Elisabetta d’Austria – a opporsi alla sua lavorazione. Con Romy Schneider, tuttavia, Karlheinz Böhm mantenne una solida amicizia che durò fino alla morte di lei, nel 1982, divenendo, nel corso degli anni, anche un suo prezioso confidente (a lui, ad esempio, la Schneider si sarebbe rivolta spesso durante le sue crisi e quando era stanca di sentirsi identificare con Sissi).
Se, tuttavia, con i film di Marischka entrambi gli interpreti hanno rischiato di restare per sempre imprigionati nei loro personaggi, proprio grazie al loro grande successo si aprirono, al contempo, molte altre porte.
Fu così che la carriera di Karlheinz Böhm subì finalmente una svolta e l’attore partì alla volta degli Stati Uniti. Appena pochi anni dopo – e, per la precisione, nel 1960 – ecco arrivare uno dei ruoli più significativi di tutta la sua carriera: quello del maniaco assassino Mark Lewis in L’Occhio che uccide di Michael Powell. Un film, il presente, che al giorno d’oggi è considerato una vera e propria pietra miliare della storia del cinema, ma che, all’epoca fu letteralmente stroncato dalla critica. E questo, ovviamente, non giovò nemmeno alla carriera di Böhm.
Dopo, infatti, la stipula di un contratto con la Metro Goldwin Mayer, Karlheinz Böhm prese parte a pochi altri lungometraggi – tra cui L’Ombra a Mezzanotte di Terence Young (1960), Il magnifico Ribelle di Georg Tressler (1962) e I quattro Cavalieri dell’Apocalisse di Vincente Minnelli (1962) – senza ottenere, tuttavia, il successo sperato. Forse, purtroppo, nemmeno Hollywood sembrava la strada giusta per lui. Così, dopo pochi anni, rientrò in Europa, dove le cose, nonostante tutto, sembrarono iniziare ad andare sempre meglio.
Tra i lungometraggi più importanti a cui Karlheinz Böhm ha preso parte, infatti, non si possono non annoverare Martha (1974), Il Diritto del più forte (1975) e Il Viaggio in Cielo di Mamma Kusters (1975), tutti per la regia del grande Rainer Werner Fassbinder. E fu proprio il genio di Fassbinder a rilanciare finalmente la sua carriera, facendole fare un salto di qualità, sia per quanto riguarda i ruoli di volta in volta ricoperti che per l’indiscusso pregio delle pellicole stesse.
Malgrado, dunque, una vita già ricca di avventure e di cambiamenti, ancora doveva arrivare il momento che avrebbe dato una svolta definitiva alla sua esistenza. E ciò accadde, per la precisione, nel 1976, quando Böhm – al fine di sottoporsi a una cura contro la bronchite – venne mandato dal suo medico a trascorrere del tempo presso un lussuoso sanatorio in Kenya. Qui, tuttavia, venne colpito dalla povertà degli abitanti del posto e decise che era arrivato il momento di attivarsi in prima persona.
Tornato in Germania, dunque, durante una puntata della trasmissione Wetten, dass…? (il corrispondente tedesco del format Scommettiamo che…?), Karlheinz Böhm fece una scommessa affermando che, secondo lui, nessuno sarebbe stato disposto a donare anche solo un marco per fini umanitari e, qualora lui stesso avesse perso, sarebbe stato disposto a recarsi personalmente in Africa per fare qualcosa di buono con il denaro ricavato. Fu così che riuscì a raccogliere 1.700.000 marchi ed ebbe modo di fondare, in Etiopia, l’organizzazione umanitaria Menschen für Menschen.
E così, per il resto della sua vita, visse tra Germania ed Etiopia, portando avanti le sue cause e ottenendo numerose gratificazioni morali in cambio. Perfetto coronamento di una vita fatta di successi, così come di insuccessi professionali. Una vita giunta al termine il 29 maggio 2014, a causa dell’Alzheimer. Una vita, durante la quale si alternarono tre mogli, durante la quale ebbe ben sette figli, tra cui le attrici Kristina e Katharina Böhm (quest’ultima è nota in Italia soprattutto per aver interpretato il ruolo di Livia ne Il Commissario Montalbano). Una vita culminata con il conferimento, nel 2007, del Premio Balzan per l’Umanità, la Pace e la Fratellanza fra i Popoli. Una vita perfettamente degna di un uomo dal cuore d’oro, il cui sorriso rassicurante resterà per sempre impresso nel cuore di milioni di spettatori.