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di Jasmin Baumgartner
voto: 7
Robin’s Hood è riuscito a tracciare un affresco il più possibile esaustivo e appassionato di una realtà sconosciuta ai più. Il tutto per un lavoro pulito e ben calibrato, con diversi momenti di tensione che si alternano a scene ben più “leggere”. Degno ricordo di una realtà che, purtroppo, è svanita fin troppo presto.
Nel mondo di Robin
Sarebbe bello se, finalmente, non ci fossero più episodi di razzismo. Così come sarebbe bello se ebrei, cristiani e musulmani potessero essere considerati da tutti allo stesso modo. Già, sarebbe bello. Ma mentre in molti si limitano a sperare semplicemente in un futuro migliore, ci sono, in piccoli angoli di mondo, veri e propri eroi postmoderni che fanno dei suddetti principi le linee guida del loro quotidiano. Questo, ad esempio, è il caso di Robin, protagonista del documentario Robin’s Hood, per la regia della giovane Jasmin Baumgartner. Il presente lavoro avrebbe dovuto far parte della Diagonale 2020 e, in seguito alla cancellazione del festival, è stato inserito all’interno del programma Diagonale 2020 – Die Unvollendete e trasmesso in diretta streaming il 25 marzo da Radio FM4.
Robin, dunque, era il presidente della RSV, una piccola squadra di calcio amatoriale formata principalmente da persone provenienti da qualsiasi angolo del mondo che, altrimenti, sarebbero state destinate a una vita da emarginati. La RSV, purtroppo, oggi non esiste più. Eppure, grazie a questo piccolo e prezioso Robin’s Hood il suo spirito e la sua storia sono destinati a restare impressi nella memoria per ancora molto tempo.
Quando parliamo di un documentario come Robin’s Hood, dunque, parliamo di cinema del reale nella sua accezione più pura. Jasmin Baumgartner, dal canto suo, pur provenendo da un mondo come quello dei videoclip musicali (prima della proiezione del presente documentario è stato proiettato, appunto, anche il videoclip Wanda – Ciao Baby!) ha rinunciato a ogni qualsivoglia virtuosismo registico al fine di mostrarci la quotidianità dei componenti della squadra così com’è. Con tanto di momenti lieti di fianco a situazioni ben più spiacevoli.
Diviso in nove capitoli, dunque, Robin’s Hood vede una macchina da presa – quella di Jasmin Baumgartner, appunto – osservare da vicino ogni singolo aspetto, senza paura di avvicinarsi troppo a ciò che racconta. Non mancano, all’interno del presente lavoro, i cosiddetti sfondamenti della quarta parete (quando, ad esempio, vediamo alcuni calciatori o, addirittura, lo stesso Robin interagire con la regista). Così come non mancano attimi di tensione (quando uno dei giocatori viene sorpreso dalla polizia a fumare della cannabis) o dialoghi alquanto spinosi (vedi, ad esempio, la scena in cui Robin viene coinvolto, all’interno di un pub, in una conversazione ai limiti del razzismo).
E la macchina da presa è sempre pronta a registrare tutto. Senza aggiungere filtro alcuno. I ritratti dei giocatori che ne vengono fuori sono quelli di persone sì coraggiose, sì con un forte spirito di squadra, ma anche incredibilmente vulnerabili e non privi di macchia (lo stesso Robin, in passato, è stato in galera per aver spacciato della cannabis). Eppure, questo piccolo Robin’s Hood è riuscito a tracciare un affresco il più possibile esaustivo e appassionato di questa realtà sconosciuta ai più (fatta eccezione, forse, per gli abitanti di Ottakring, il quartiere di Vienna dove la squadra era solita allenarsi). Il tutto per un lavoro pulito e ben calibrato, con diversi momenti di tensione che si alternano a scene ben più “leggere”. Degno ricordo di una realtà che, purtroppo, è svanita fin troppo presto.
Titolo originale: Robin’s Hood
Regia: Jasmin Baumgartner
Paese/anno: Austria / 2020
Durata: 90’
Genere: documentario
Sceneggiatura: Jasmin Baumgartner, Matthias Writze
Fotografia: Anna Hawliczek, Olga Kosanovic, Katharina Lüdin
Produzione: Filmakademie Wien