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INTERVISTA A ELSA KREMSER E LEVIN PETER

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In occasione della Viennale 2019, i registi Elsa Kremser e Levin Peter hanno presentato il documentario Space Dogs, primo lavoro prodotto dalla Raumzeit Filmproduktion, da loro stessi fondata. Cinema Austriaco ha avuto modo di fare quattro chiacchiere con loro e di farsi raccontare qualcosa in più circa questo loro importante lungometraggio e la loro carriera di registi e produttori. Intervista a cura di Marina Pavido.

Marina Pavido: Space Dogs prende il via raccontando la leggenda della cagnolina Laika, la quale, dopo essere stata mandata nello spazio all’interno della capsula sovietica Sputnik, è purtroppo deceduta. Tale leggenda, appunto, racconta che lo spirito della cagnolina è poi tornato sulla terra, al fine di reincarnarsi in altri cani randagi che vivono a Mosca, nello stesso quartiere in cui la stessa è nata. In che modo è nata l’idea di raccontare questa storia?

Elsa Kremser: Inizialmente volevamo girare un film che parlasse in generale di cani randagi. Volevamo quindi fare un film che con un approccio diretto mettesse in scena la loro quotidianità anche attraverso un particolare gioco di luci e ombre. Questa era l’idea iniziale. Poi ci siamo imbattuti nella storia della cagnolina Laika, abbiamo iniziato a fare delle ricerche e abbiamo pensato di conferire al tutto il carattere di una favola quasi soprannaturale. Così abbiamo scoperto che Laika era nata in strada e da lì ci siamo sentiti liberi di creare e – anche adottando una messa in scena con numerosi riferimenti all’onirico – di realizzare questa storia straordinaria, questa leggenda dello spirito di Laika che, partendo dallo spazio, è tornato sulla Terra.

M. P.: Il vostro lavoro vuole anche, in qualche modo, denunciare maltrattamenti sugli animali?

Levin Peter: Il film vuole certamente far sì che ci si ponga delle domande. Tutto ciò che noi desideriamo tutto ciò che vogliamo raggiungere o semplicemente anche i nostri sogni necessitano di qualche “forzatura” affinché possano realizzarsi. E questo spesso mette in discussione anche la morale. In questo caso si pone la domanda se sia giusto o meno che gli animali – durante l’addestramento in previsione del lancio nello spazio – vengano trattati nel modo che noi abbiamo fatto vedere. In realtà ci si chiede fino a che punto sia giusto fare esperimenti con finalità scientifiche o mediche e fino a che punto gli animali possano essere utilizzati come strumenti di propaganda. In questo caso si tratta di un cane che deve essere lanciato nello spazio a mo’ di cosmonauta, che è qualcosa del tutto innaturale. Noi, dal canto nostro, critichiamo questi trattamenti, anche se nel nostro film tutto è messo in scena con toni favolistici e anche con parecchi riferimenti ai film Disney. Ad esempio: possono davvero gli animali, in qualche modo, “impersonare” un essere umano? Possono anch’essi, in qualche modo, rappresentarci, anche per quanto riguarda particolari caratteristiche fisiche o caratteriali che noi abbiamo?

M. P.: Si dice che, sul set, sia sempre complicato lavorare con gli animali. Anche per voi è stato difficile lavorare con i due cani protagonisti?

E. K.: Già dall’inizio sapevamo perfettamente che volevamo fare un film del genere, che volevamo osservare la vita di questi cani così da vicino e sapevamo che ciò avrebbe richiesto molto tempo. E sapevamo anche che, per quanto riguarda la produzione stessa, avremmo necessitato di molti giorni di lavorazione e anche di molto denaro, dal momento che dovevamo seguire da vicino la quotidianità dei due cani. Prima della lavorazione, abbiamo anche dovuto fare parecchie ricerche e, alla fine, di dodici settimane che avevamo a disposizione, ne sono rimaste solo cinque per effettuare le riprese. E c’è anche da dire che all’inizio i cani non erano abituati alla nostra presenza o alle telecamere, stavano sulla difensiva, ci guardavano e così via. E nemmeno noi, inizialmente, sapevamo bene come rapportarci a loro. Ma poi, col tempo, si è naturalmente venuta a creare una sorta di fiducia e loro stessi hanno iniziato a comportarsi con naturalezza, quasi come se inconsciamente avessero capito di essere gli attori protagonisti. (ride, n. d. r.)

L. P.: E altre difficoltà si sono presentate quando non succedeva niente, quando non facevano niente o quando dormivano, spesso anche per ore. In simili momenti ci siamo anche chiesti se stavamo facendo la cosa giusta, se stavamo facendo il film giusto, ma poi, alla fine, ci siamo resi conto di quanto, in realtà, questi cani abbiano saputo regalarci durante queste settimane di lavorazione.

E. K.: E poi, di solito, noi andavamo lì una o due ore per notte e non avevamo idea di cosa sarebbe successo ogni volta: cosa avrebbero mangiato, dove ci avrebbero portato ecc. E così ci è capitato di scoprire situazioni e posti che non avremmo mai pensato di conoscere. E la cosa in sé era parecchio entusiasmante.

M. P.: La scena in cui uno dei due cani aggredisce un gatto per strada è probabilmente il momento più forte di tutto il film. Come sono andate le cose nel momento in cui l’avete girata?

L. P.: Penso che l’esperienza che abbiamo vissuto sia molto simile a quella che hanno vissuto gli spettatori stessi. All’inizio non capivamo cosa stesse succedendo, è stato scioccante. È accaduto semplicemente che la realtà ha assunto tutt’a un tratto un carattere molto più forte, più brutale. Lì per lì non ho riflettuto su quanto stesse accadendo, ho semplicemente continuato a fare quello che facevamo da mesi, anche se questo era diventato anche per noi così difficile. Eppure così è la vita, così è la natura. E poi tutti i pensieri e le riflessioni sono venuti dopo: ne abbiamo anche discusso con tutta la troupe, chiedendoci anche perché per noi esseri umani è ancora così difficile accettare certe situazioni. La morte dovrebbe essere qualcosa del tutto naturale, ma noi facciamo ancora fatica ad accettarlo. E poi quella era comunque una situazione particolare: si trattava comunque di un cane che aggrediva un gatto domestico.

E. K.: E poi ci trovavamo in città, in un contesto dominato dagli esseri umani e non nella natura selvaggia, dove una situazione del genere è piuttosto comune. Ma in fondo i cani hanno fatto della città il loro ambiente naturale e, in un certo senso, anche un ambiente del genere può essere considerato come se ci si trovasse nella natura incontaminata.

M. P.: Si potrebbe affermare che, per quanto riguarda precisi momenti, Space Dogs abbia un approccio registico quasi neorealista?

L. P.: L’approccio è iperrealistico, anche se, nel complesso – visto che tutto è iniziato quasi come se ci si trovasse in una favola, con lo spirito del cane che si è reincarnato – si può parlare di realismo magico. Possiamo parlare quasi di un racconto d’avventura alla Jules Verne. Questa, forse, è stato ciò che ci ha maggiormente ispirato.

E. K.: E in più abbiamo pensato di raccontare il tutto quasi con gli occhi di un bambino. Di un bambino molto piccolo, tipo di uno o due anni, che si mette a osservare la vita di questi cani. Tutto questo ha qualcosa di magico, in quella età si è aperti a tutto e così possono nascere situazioni in cui la favola si confonde con la realtà, senza particolari ripartizioni di ruoli. Abbiamo cercato di mantenere questo approccio per tutto il film, anche, spesso e volentieri, con un atteggiamento del tutto naïf.

M. P.: Voi avete fondato da poco la Raumzeit Filmproduktion. Com’è la situazione oggi in Austria, nel momento in cui si vuole avviare un progetto del genere?

E. K.: Noi avevamo davvero voglia di fare questo film, ma, dal momento che si trattava di mettere in scena una storia molto particolare, era necessario che il ministero ci desse molta fiducia, proprio perché si trattava di qualcosa di totalmente nuovo. E poi, ovviamente, da parte di chi doveva finanziare il progetto c’erano anche molte perplessità su come lavorare con i cani e via discorrendo. Ma fortunatamente in Austria si producono spesso lavori sperimentali e, tendenzialmente, le istituzioni sono molto coraggiose quando si tratta di produrre qualcosa di nuovo. E quando abbiamo avuto l’ok siamo stati ovviamente felicissimi.

L. P.: Ma comunque necessitavamo anche di molti soldi per questo lavoro. E poi qui eravamo nuovi: lei è austriaca, io sono tedesco, abbiamo studiato in Germania ed era la prima volta che venivamo qui. E quindi, come in ogni nazione, si tende a dare la precedenza alle produzioni nazionali. Poi noi venivamo da stranieri, nessuno ci conosceva, nessuno poteva garantire per noi. Quindi fare un film importante con una nostra casa di produzione era la scelta più logica. Normalmente c’è un idea di base, le case di produzione decidono di realizzarla e ti fanno un contratto come regista, ma noi volevamo a tutti i costi produrci questo lavoro per conto nostro e sentirci liberi di lavorare come meglio desideravamo. E poi naturalmente c’è sempre il problema che quando si è troppo giovani nessuno tende a darti fiducia. Ma poi, fortunatamente tutto è andato per il meglio: abbiamo avuto finanziamenti sia dall’Austria che dalla Germania, sebbene entrambe le nazioni abbiano approcci diversi quando si tratta di produrre un nuovo film. In Austria, ad esempio, si pensa molto a una probabile vita del film all’interno di un festival, come in questo caso può essere la Viennale. In Germania, invece, si pensa molto più all’intrattenimento del pubblico in senso stretto.

M. P.: Per caso ci sono stati determinati lungometraggi o registi che vi hanno in qualche modo ispirato nel realizzare questo vostro lavoro?

E. K.: Per quanto riguarda questo nostro film ci siamo ispirati in modo particolare a Miguel Gomes. È stato una figura molto importante. Abbiamo visto Arabian Nights e inizialmente volevamo partire da un approccio del genere con Space Dogs. E a esso ci siamo ispirati anche nel momento in cui abbiamo scritto la sceneggiatura. Volevamo mantenere questo sguardo particolare che ha in sé qualcosa di magico. Un’altra figura a cui ci siamo ispirati è, ad esempio, Michelangelo Frammartino, così come molti altri italiani, tra cui anche Paolo Sorrentino. Ma anche il film I tempi felici verranno presto ci è stato molto d’ispirazione. Così come anche Le quattro Volte. In generale abbiamo tratto molta ispirazione dal cinema italiano, da quello portoghese e da quello brasiliano.

L. P.: Tutti gli esempi che abbiamo fatto sono comunque film molto politici. E anche Space Dogs è, a sua volta, un film politico: con una storia favolistica vengono sollevate importanti questioni riguardanti la società in cui viviamo e, allo stesso modo, in Arabian Nights si racconta, sempre sotto forma di favola, la storia del Portogallo dei giorni nostri.

M. P.: Potete raccontarci qualche aneddoto divertente che vi è accaduto durante la lavorazione?

L. P.: Ce ne sono tanti! (ride n. d. r.) Dunque, nel film il suono è molto importante e quando, verso la fine,i cani avevano iniziato a fidarsi di noi, gli abbiamo messo dei microfoni al collo, anche soltanto per catturare il loro respiro o i loro passi. E poi, a un certo punto, uno dei cani è sparito, si era allontanato nel buio con un microfono parecchio costoso al collo e per un bel po’ non siamo riusciti a trovarlo. Una cosa simile è accaduta anche con un uomo a cui avevamo dato un microfono, solo che poi ha incontrato un suo amico, entrambi erano anche abbastanza ubriachi e sono andati via insieme.

E. K.: E poi, all’inizio delle riprese, appena siamo arrivati nel quartiere in cui vivevano i cani, molte persone, per strada, ci hanno chiesto cosa stavamo facendo, perché continuavamo a filmare quei cani randagi e via discorrendo. In pratica non riuscivano a capire cosa volevamo da loro. E noi, quindi, gli raccontavamo che la cagnolina Laika era nata in quel quartiere, che cercavamo di seguire il suo spirito, e così via. E la stessa cosa abbiamo dovuto dire anche alla polizia, perché per le strade c’erano molti posti di blocco. E immagino che dovevamo sembrargli parecchio strani. Poi, però, un giorno è arrivata una donna e ci ha detto: “Che bello che siete qui a filmare i cani! Laika è nata qui e forse qui c’è ancora il suo spirito”. (ride n. d. r.). E poi ci è accaduto anche qualcosa di abbastanza commovente. Ad esempio, quando, dopo aver trascorso l’estate e l’inverno insieme ai cani, dovevamo smontare tutte le attrezzature e andarcene, i cani ci hanno accompagnato fino alla macchina. E quando ci siamo girati a guardare dal finestrino posteriore erano ancora tutti lì a guardarci andare via. Quello è stato un momento molto difficile.

M. P.: Un’ultima domanda: al momento state lavorando a qualche nuovo progetto?

L. P.: Faremo una trilogia sui cani. Questa era la prima parte. La seconda riguarderà un gruppo di senzatetto che vivono per le strade insieme ai loro cani e anche qui ci concentreremo su come tutti loro vivano insieme ai loro cani, su come trascorrano le loro notti per le strade della città. Il film sarà incentrato proprio sul loro rapporto.

E. K.: E al momento stiamo scrivendo anche il nostro primo film di finzione. Vorremmo girarlo a Minsk e si tratta di una storia d’amore che ha a che fare con la vita e con la morte, la storia di un uomo che si innamora di una ragazza che vuole tentare il suicidio. Anche in questa storia, comunque, ci saranno parecchi elementi favolistici.

Info: il sito ufficiale della Raumzeit Filmproduktion; la scheda di Space Dogs sul sito della Austrian Film Commission