Grande assente alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Ulrich Seidl non è riuscito a presentare in tempo Wicked Games, sua ultima fatica. Eppure, il controverso cineasta austriaco è ormai di casa al Lido. Basti pensare che la sua notorietà a livello internazionale è stata ufficialmente raggiunta nel 2001, anno in cui ha presentato in concorso Canicola, che si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria.
In occasione della pre-apertura alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è stato proiettato il lungometraggio Estasi, per la regia di Gustav Machatý, appena restaurato in 4K dalla Cineteca di Bologna. E se questo importante lavoro viene principalmente ricordato per il nudo della bellissima Hedy Lamarr, che già aveva fatto scandalo alla Mostra del Cinema del 1934, in molti avranno avuto modo di notare come il presente Estasi si distingua anche per l’ottima regia dello stesso Machatý.
Con Flora, Jessica Hausner – analogamente ha quanto ha fatto un paio d’anni più tardi la collega Barbara Albert in Sunspots – ha iniziato il suo percorso nel mondo della settima arte con un interessante coming-of-age, in cui già si potevano notare alcune caratteristiche basilari di quello che sarebbe diventato il suo particolare approccio registico.
Uno dei volti simbolo del cinema che ci parla della Seconda Guerra Mondiale e del nazismo. Un attore poliedrico, per un talento fuori dal comune che lo ha portato anche ad affermarsi come stimato regista e musicista di successo. E pensare che, inizialmente, l’arte non sarebbe dovuta essere il suo mestiere. Eppure Maximilian Schell non ci ha messo molto tempo a dare prova di tutto il suo valore.
In molti avranno notato come, in alcune opere cinematografiche del muto, capiti sovente che la pellicola assuma determinate gradazioni di colore. Ciò accadeva, sia in Francia come negli Stati Uniti, già dai primi anni del Novecento, ossia appena pochi anni dopo la nascita stessa del cinematografo. E in Austria, invece?
Dopo la francese Alice Guy-Blanché, la seconda regista donna nella storia della settima arte – anch’ella figura assai di rilievo – è stata proprio un’austriaca. Stiamo parlando di Louise Kolm-Fleck, la quale, a suo tempo, ha contribuito a far sì che l’Austria stessa iniziasse ad avere una propria identità anche all’interno del panorama cinematografico di tutto il mondo.
In the Bazaar of Sexes, secondo documentario della regista austro-iraniana Sudabeh Mortezai (conosciuta a livello internazionale per il lungometraggio Joy, già premiato alla Mostra del Cinema di Venezia 2018) ci racconta una realtà conosciuta da pochi, ossia quella dei matrimoni temporanei. Ma cosa sono, di fatto, questi matrimoni temporanei?
Il cinema d’avanguardia austriaco risulta, al giorno d’oggi, estremamente prolifico e ricco di spunti interessanti. Eppure in pochi sapranno che esso nasce ufficialmente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e, nello specifico, nel 1951, anno in cui l’artista, pittore e fotografo Kurt Steinwendner realizzò il suo Der Rabe, trasposizione cinematografica altamente sperimentale della nota poesia Il Corvo di Edgar Allan Poe.
Maga Martina e il libro magico del Draghetto – diretto dal Premio Oscar Stefan Ruzowitzky, nonché trasposizione cinematografica del celebre racconto omonimo scritto da Knister – pur nel suo svolgimento lineare e privo di sbavature e con la sua regia pulita e dinamica, non riesce a essere incisivo come precedenti lavori del genere.
Se una personalità del calibro di Arnold Schwarzenegger – il quale ha da poco compiuto settantadue anni – è riuscita a entrare nel cuore della gente, non è soltanto per il suo fisico straordinariamente scolpito, non è soltanto per la sua importante carriera in ambito cinematografico né tantomeno per i suoi successi in politica e per il suo impegno a favore della salvaguardia dell’ambiente, bensì per essere rimasta una persona umile, vicina alla gente, che sembra non aver mai dimenticato le sue origini.