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di Gustav Deutsch
voto: 9
Cosa accadrebbe se, di fatto, i dipinti del celebre pittore statunitense Edward Hopper prendessero vita? A ciò ha pensato il cineasta austriaco Gustav Deutsch con il suo Shirley: Visions of Reality, presentato, all’interno della sezione Forum, alla Berlinale 2013, nonché vincitore di numerosi premi internazionali.
Una nuova forma d’arte
Colpiscono immediatamente per il loro estremo realismo, per le loro luci artificiali e per i colori più che mai accesi – ma che, allo stesso tempo, stanno a trasmettere un’indescrivibile sensazione di vuoto interiore – i dipinti del celebre pittore statunitense Edward Hopper. Pitture, queste, talmente realistiche da dare l’impressione che da un momento all’altro possano prendere vita. E cosa accadrebbe se, di fatto, prendessero vita realmente? A ciò ha pensato il cineasta austriaco Gustav Deutsch con il suo Shirley: Visions of Reality, presentato, all’interno della sezione Forum, alla Berlinale 2013, nonché vincitore di numerosi premi internazionali.
Tredici quadri di Hopper, dunque, per un lungometraggio altamente sperimentale che altro non fa che dar voce a ciò che l’artista di Nyack ha voluto raccontare per immagini. Tredici quadri che, abbracciando un periodo che va dal 28 agosto 1931, fino al 29 agosto 1963 ci racconta più di trent’anni di storia americana – con tanto di rimandi a ciò che, nel frattempo, accade nel resto del mondo – attraverso le vicende di Shirley, un’attrice in crisi esistenziale, costretta in un matrimonio con un uomo di cui è sì innamorata, ma che, al contempo, la fa sentire incredibilmente sola.
E se, sin dai primi fotogrammi, a colpirci è la ricostruzione perfetta del dipinto Carrozza Passeggeri (1965), immediatamente ci lasciamo catturare da minuziose rappresentazioni di quadri come Stanza a New York (1932), Cinema a New York (1939) o Intermission (1963), grazie anche e soprattutto al complesso lavoro di ricostruzione effettuato da Hanna Schimek (compagna di vita e di lavoro di Deutsch) e a una magistrale direzione della fotografia a opera di Jerzy Palacz, storico collaboratore di Ulrich Seidl. Tra un quadro e l’altro, insieme a una didascalia che ci spiega in che giorno ci troviamo (sempre il 28 agosto) e in che anno, una voce radiofonica che ci informa di ciò che nel frattempo accade nel mondo. E poi, ovviamente, c’è il cinema. Malgrado Hopper, a suo tempo, si sia cimentato in raffigurazioni di ambienti cinematografici (in Cinema a New York, così come in Intermission, ad esempio), il complesso discorso sul cinema, sulla figura dell’attore, sul rapporto tra lui stesso e il regista e, soprattutto, sulle emozioni nate in seguito a una visione sul grande schermo intrapreso in Shirley: Visions of Reality è completamente opera di Gustav Deutsch. A lui il compito di omaggiare la sua tanto amata settima arte, per un tocco del tutto personale e fortemente emozionale all’interno di questo suo complesso lavoro.
Il resto è un’ottima Stephanie Cumming, nel ruolo di Shirley, a rendere alla perfezione sullo schermo. Il suo volto silenzioso ma estremamente comunicativo nel momento in cui la macchina da presa di Deutsch le si avvicina racconta alla perfezione ciò che il regista – e Edward Hopper prima di lui – ha voluto comunicarci. Dal suo profondo senso di solitudine, alla sua crisi esistenziale come artista, fino alla consapevolezza e all’elaborazione del lutto (particolarmente struggente, a tal proposito, la scena raffigurante il quadro Intermission, all’interno di un cinema vuoto in cui stanno trasmettendo Une aussi longue Absence di Henri Colpi). Non c’è spazio per i dialoghi in Shirley: Visions of Reality. Gli ambienti rappresentati – analogamente a quanto è stato per i dipinti ricostruiti – vedono una o al massimo due o tre persone in scena. Tra di loro sembra non esserci alcun segno di comunicazione o partecipazione.
E se, più o meno contemporaneamente all’uscita in sala di Shirley: Visions of Reality, abbiamo visto un’ulteriore ricostruzione dei quadri del maestro statunitense nel cinema del regista svedese Roy Andersson – con tanto di complesso discorso sulla solitudine umana – nel presente lavoro di Deutsch la cosa, più che ammirata citazione, si fa reincarnazione assoluta. L’unica reincarnazione possibile dell’opera pittorica di un artista in un’ulteriore opera d’arte, in un’opera cinematografica.
A poco, dunque, serve criticare la debolezza dello script, il suo essere pedissequamente didascalico o la sua eccessiva contemplatività: ciò a cui ci troviamo di fronte sono una serie di immagini perfette che, nella loro visione d’insieme, stanno a rappresentare un realistico affresco del secolo scorso, oltre a un’approfondita analisi antropologica. Un affresco che, se, nel periodo in cui è stato dipinto, avesse potuto “prendere vita”, probabilmente, anche secondo lo stesso Edward Hopper, sarebbe diventato proprio così.
Gustav Deutsch, dal canto suo, in qualità di uno degli esponenti più autorevoli della cosiddetta terza generazione del cinema d’avanguardia austriaco, se, nel corso della sua carriera, più e più volte ha dato prova di una grande capacità nel realizzare riuscite commistioni tra il cinema e altre forme d’arte – grazie anche a un copioso uso di filmati di repertorio – con il presente Shirley: Visions of Reality ha creato qualcosa di totalmente nuovo, per una vera e propria dichiarazione d’amore al cinema, alla pittura e alla bellezza in senso più ampio. Un lavoro, il suo, che, dunque, va gustato dal primo all’ultimo minuto, quadro dopo quadro. Proprio come faremmo a una mostra di pittura. Un lavoro in seguito alla cui visione ci si sente piacevolmente appagati, malinconicamente storditi, dolcemente annichiliti.
Titolo originale: Shirley: Visions of Reality
Regia: Gustav Deutsch
Paese/anno: Austria / 2013
Durata: 92’
Genere: drammatico, sperimentale
Cast: Stephanie Cumming, Christoph Bach, Florentin Groll, Elfriede Irrall, Tom Hanslmaier, Jeff Burrell
Sceneggiatura: Gustav Deutsch
Fotografia: Jerzy Palacz
Produzione: KGP Kranzelbinder Gabriele Production, Österreichisches Filminstitut, ORF