Primo capitolo della Heimatfilm-Trilogie (comprendente anche Abschied, del 2014, e Heimatfilm, del 2016), My Father’s House, dedicato ai genitori del regista, appena scomparsi, mette in scena – analogamente alle altre opere dell’autore – un importante cambiamento interiore e può classificarsi di diritto, come il suo lavoro più intimo e personale.
La scoperta della propria omosessualità e, parallelamente, la progressiva conoscenza del proprio corpo, sono grandi protagoniste di Nevrland, in cui Gregor Schmidinger ha optato per una messa in scena del tutto anticonvenzionale e a tratti fortemente sperimentale.
Al di là di ogni qualsivoglia spinosa questione di carattere puramente storico e produttivo, non si può non riconoscere la bellezza stessa di un’opera come Suburban Cabaret di Werner Hochbaum, preziosa testimonianza di un’epoca chiave, per il cinema e non solo.
Secondo le stesse parole dell’autore, si tratta di una sorta di Odissea senza ritorno, Egyptian Eclipse. Un viaggio soprattutto interiore che porta lentamente all’abbandono di ogni cosa riguardante il proprio passato – e, con esso, anche l’attaccamento a ogni qualsivoglia bene materiale – e che culmina nel bel mezzo di un simbolico deserto.
Funziona il particolare andamento contemplativo conferito a To the Night. Malgrado la giovane età, malgrado una scarsa esperienza dietro la macchina da presa, Peter Brunner ha dalla sua la grande capacità di mettere in scena in modo del tutto personale e sincero un tormento interiore ricco di sfaccettature e per nulla facile da analizzare.