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ANGELO

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di Markus Schleinzer

voto: 8

In Angelo, attraverso le vicende di un singolo, il regista ha voluto mettere in scena lo spinoso – e tristemente attuale – tema della diversità, approfittando dell’occasione per dare vita anche a una tanto lucida quanto impietosa analisi sociale, a prescindere dal secolo in cui ci si trova.

Angelo nero

L’Austria, si sa, vive da ormai parecchi decenni una sorta di frattura all’interno della propria società. Se, infatti, da un lato abbiamo una (sostanziosa) porzione di popolazione nostalgica dell’impero e totalmente chiusa a chiunque venga da fuori, dall’altro v’è sempre una fetta di intellettuali che criticano da anni chi di apertura nei confronti dell’”altro” proprio non vuol saperne. Al giorno d’oggi, tra l’altro, tali questioni si fanno sempre più attuali e spinose, al punto da far sì che, anche nell’ambito della Settima Arte, siano in parecchi a voler dire la loro in merito. Ma abbandoniamo per un attimo la questione e – uscendo dai confini dell’Austria – facciamo un salto indietro nel tempo e riapriamo una parentesi precedentemente chiusa.

Se, infatti, nel (non troppo) lontano 2010 il lungometraggio Venere Nera (per la regia del tunisino Abdellatif Kechiche) aveva colpito nel profondo sia pubblico che critica mettendo in scena la crudele storia di Saartjie Baartman, ragazza ottentotta che nel diciannovesimo secolo veniva esibita come attrazione all’interno dei salotti bene europei, ecco arrivare direttamente dalla Viennale 2018 (frutto di una coproduzione con il Lussemburgo) fino agli schermi della trentaseiesima edizione del Torino Film Festival – in concorso Torino 36 – e alla Diagonale 2019 il lungometraggio Angelo – terza regia per Markus Schleinzer, storico aiuto di Michael Haneke, nonché responsabile casting per lo stesso Haneke, oltre che per Jessica Hausner e Ulrich Seidl – dove viene messa in scena la vera storia di Angelo Soliman, arrivato dall’Africa in Europa all’inizio del diciottesimo secolo, adottato da una contessa del posto e usato come esperimento educativo, fino al punto da essere costretto a esibirsi come musicista e attore per i nobili del luogo.

Una storia, questa, cruda quasi al pari del precedente lungometraggio di Kechiche, che viene raccontata per immagini in un raffinato lavoro dove, attraverso le vicende di un singolo, il regista ha voluto mettere in scena lo spinoso – e tristemente attuale – tema della diversità, approfittando dell’occasione per dare vita anche a una tanto lucida quanto impietosa analisi sociale e – più in generale – della stessa umanità, a prescindere dal secolo in cui ci si trova. Una critica, questa, a cui Schleinzer -così come, appunto, anche parecchi suoi colleghi connazionali – è spesso ricorso all’interno dei suoi precedenti lavori (impossibile non pensare, a tal proposito alla sua opera prima, Michael, giusto per fare un esempio).

E così, con un campo lungo – e rigorosamente in 4:3 – vediamo, in apertura del lungometraggio, l’arrivo del piccolo Angelo, il quale, ancora bambino, viene scelto fra tanti da una magnanima contessa (impersonata da Alba Rohrwacher), la quale lo farà battezzare e lo prenderà sotto la propria custodia. Interessante vedere, a tal proposito, come, malgrado le buone intenzioni, la stessa contessa sia, sotto sotto, spaventata dalla “diversità” del bimbo e sempre pronta a mettersi sulla difensiva, in particolare nel momento in cui, di notte – e come sovente capita ai bambini quando hanno un incubo – il piccolo si avvicina al suo letto in cerca di affetto e di protezione. Questo, però, è soltanto il primo capitolo e – malgrado sporadici episodi che lasciano prevedere brutti momenti – sta a rappresentare, di fatto, il periodo più felice per il giovane protagonista. Nei due restanti capitoli in cui il presente lavoro è diviso, infatti, assistiamo a un vero e proprio crescendo di crudeltà e cinismo, fino a un tanto inaspettato quanto assurdo climax finale.

Una storia annichilente, dunque, per una messa in scena particolarmente raffinata che, perfettamente in linea con gli ambienti rappresentati, vede principalmente luci soffuse (interessante come alcune immagini stiano a ricordare addirittura i dipinti di Caravaggio o – per quanto riguarda le scene oniriche – di Diego Velazquez), palazzi sì sfarzosi, ma, allo stesso tempo, privi di eccessivi elementi decorativi e con un arredamento del tutto essenziale e, non per ultimo, un ricercato commento musicale con brani al clavicembalo di Johann Sebastian Bach, Joseph Haydn, Alessandro e Domenico Scarlatti e Alessandro Costantini.

Dal canto proprio, le figure tendono – soprattutto per quanto riguarda i totali – a restare statiche, rigide, quasi immobili (e qui l’influenza del maestro Seidl si fa sentire), perfettamente in linea con le loro personalità e che trasmettono allo spettatore quel senso di impotenza e di disperazione che può provare un singolo individuo di fronte a una comunità già costituitasi, all’interno della quale – malgrado numerose ipocrisie e falsi buonismi – non c’è posto per chi è considerato “diverso”.

Titolo originale: Angelo
Regia: Markus Schleinzer
Paese/anno: Austria, Lussemburgo / 2018
Durata: 111’
Genere: drammatico, biografico, biopic
Cast: Makita Samba, Alba Rohrwacher, Larisa Faber, Kenny Nzogang
Sceneggiatura: Alexander Brom, Markus Schleinzer
Fotografia: Gerald Kerkletz
Produzione: Novotny & Novotny Filmproduktion GmbH, Amour Fou Luxembourg, Markus Schleinzer, ORF

Info: la scheda del film Angelo sul sito della Austrian Film Commission